29 settembre 2018
Di eroi e grandi balzi per l’umanità.
Ecco di cosa parla First Man, quarto film di Damien Chazelle che che ha aperto la 75esima Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia, in concorso per il Leone d’Oro. Ma i protagonisti di questa pellicola sono uomini divorati dall’ambizione, una virtù che però lascia un’amara solitudine attorno a sé.
La grande impresa di Neil Armstrong, come tutti la conosciamo, viene raffigurata in tutta la sua grandezza, tempestata di avversità e morte, circondata da una cinica freddezza che porta il pubblico a porsi una semplice domanda: tanto successo avrà appagato l’animo di Armstrong oltre che arricchito la fama del suo nome?
Ryan Gosling, nelle vesti del noto astronauta, fa ciò che sa fare meglio: essere totalmente glaciale, gelido tanto quanto il suolo lunare che tanto ha bramato calcare. Per quanto quest’interpretazione è perfettamente in sintonia con la rigidità delle scelte stilistiche adottate per questo film, molto orientato a mostrare la tecnicità dei movimenti di camera, il montaggio acuto e curioso ed un comparto sonoro potente, a mancare è proprio il cuore, il fuoco che anima il protagonista a compiere le sue imprese. È praticamente impossibile immedesimarsi nei panni di Neil Armstrong. Per quanto molte riprese claustrofobiche ci portino a avvertire il suo respiro come il nostro, sono percezioni puramente sensoriali, fisiche, completamente differenti dal provare empatia per una persona.
Ci si chiede dunque quale fosse il vero intento di Chazelle. Deliziarci gli occhi con un prodotto puramente tecnico, abbellito da una colonna sonora come sempre intima e delicata curata dall’amico di vecchia data Justin Hurwitz? Il risultato è un esercizio di stile sicuramente riuscito ma scarnificato di ogni brivido ed emozione. Pellicola promossa, ma non a pieni voti.
Angelica Lorenzon